Trattasi di un piatto semplice a base di stoccafisso olio e patate, quali ingredienti principali.

Viene infatti bollito lo stoccafisso (quello secco di origine norvegese ed ammollato in acqua) con delle patate e mantecato nello stesso tegame con olio, rigorosamente ligure, aglio tritato, limone (ma non sempre), prezzemolo, pinoli.

In ultima analisi trattasi di stoccafisso mantecato, ma il nome è quantomeno curioso.

Un nome composto da branda (dal verbo brandare) e cujùn…… si, proprio quelli !!
Analizzando:
Brandare = scuotere, agitare, questo il significato in dialetto ligure.
L’origine di questo verbo non va molto oltre i confini regionali: deriva dal provenzale antico “brander” cioè agitare e nel caso in questione scuotendo in senso orizzontale, e quindi non shakerando il tegame (d’altro canto, come ogni buon artigliere sa, il brandeggio è lo spostamento della bocca da fuoco sull’asse orizzontale) fino ad ottenere un composto mantecato, fino a che, in pratica, tutto non sia ridotto in una sorta di paté molto grossolano e granuloso in cui le patate si sono completamente disfatte ed anche il pesce, ma i pezzetti ancora identificabili.

Se la prima metà della parola ora è chiara, la seconda, cujùn, opportunamente letta dovrebbe pure essere chiara, non ci possono essere errori di interpretazione: certi termini varcano i confini territoriali e sono comprensibili a tutti.

Ma perché questo strano nome ed in che senso lo si utilizza?

La risposta sta nella storia stessa del piatto.
Il brandacujùn è un piatto creato probabilmente dalla fantasia dei marinai liguri che, per alimentarsi durante le traversate, necessitavano di cibi facilmente trasportabili e soprattutto poco deperibili (e stoccafisso e patate non si può negare che lo siano), di cotture semplici (è difficile pensare ad una cottura più semplice della lessatura) e di un poco di sapore (olio e odori sono fondamentali nella cucina ligure e il limone era sempre presente a bordo in quanto preveniva lo scorbuto).

E poi c’è il trattamento particolare: pare fosse delegato il marinaio più forte a fare questo lavoro di scuotimento, azione facilitata dal rollio della nave, ma che, poiché si operava seduti col tegame tra le gambe (per essere sicuri di non farlo cadere), si rischiava di non “brandare” solo lo stoccafisso ma anche “certe parti” del forzuto marinaio…
E questa è un’ipotesi.

Un’altra versione, più semplicistica forse e che utilizza il termine in senso figurato, vuole che, poiché per effettuare l’operazione non necessitano attenzioni o cure particolari, (è solo questione di forza) ecco che l’assioma: forza inversamente proporzionale all’intelligenza, di fatto destina l’operazione stessa al più stupido (per usare un eufemismo) della famiglia o del gruppo e quindi:
“Branda cujùn, che ciù ti u brandi ciù l’è bun”
(Agitalo “stupido”, che più lo agiti e più diventa buono).

Gli ingredienti, come dicevo, sono pochi e semplici:

Lo stoccafisso ragno

Lo stoccafisso ragno

– lo stoccafisso deve essere di prima qualità, del tipo chiamato “ragno”,
– le patate dovrebbero essere del tipo “quarantina bianca genovese”, una patata dell’Appennino ligure, utilizzata anche per accompagnare le trenette al pesto e che dà il meglio di sé in umido con lo stoccafisso,
– l’olio “deve” essere della riviera ligure, extra vergine della varietà Taggiasca; darà il giusto sapore al piatto,
– l’aglio migliore è reputato essere quello prodotto da secoli nel comune di Vessalico in provincia di Imperia, in quanto meno “invadente” al gusto rispetto all’aglio comune.

Poi c’è tutto un insieme di ingredienti per così dire facoltativi: chi aggiunge pinoli, chi olive (ovviamente Taggiasche), quasi tutti il limone, alcuni il prezzemolo, insomma non c’è una versione codificata, dipende dalla tradizione familiare e dai gusti.

Il luogo d’origine è la provincia di Imperia (Oneglia e Sanremo se ne contendono la creazione originale), ma il piatto è diffuso ormai in tutta la regione.

Il brandacujùn è un piatto che si può presentare come antipasto (magari con dei crostini), ma che può rappresentare, nelle opportune quantità, un gustoso secondo.
Nonostante il nome, certo poco signorile, e gli ingredienti, che non rientrano tra i più delicati, quello che ne risulta è una pietanza di una delicatezza unica, un sapore armonico in cui lo stoccafisso si fonde con le patate e viene esaltato dal buon olio, pinoli e limone.

Un piatto che va servito tiepido od a temperatura ambiente e che rientra a pieno titolo nella semplice ma particolare cucina ligure.

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