LA FARINATA A SAVONA

La farinata bianca, quella di grano, è una preparazione solamente savonese, ma la farinata di ceci non è un piatto solo ligure, infatti si chiama:
–       A Massa calda calda
–       A Pisa-Livorno cecina
–       In Piemonte bela caöda
–       A Nizza socca
–       A Marsiglia-Tolone tout-caud/caude
–       In Sardegna faine
–       A C arloforte fainö
–       A Gibilterra e Nord Marrocco calentita

Ma quali sono le origini?

La versione maggiormente riportata delle origini della farinata è quella che la colloca in occasione della battaglia della Meloria, agosto 1284, che vide la vittoria di Genova su Pisa.
Si narra che una tempesta colpì le navi genovesi, i recipienti d’olio nelle stive si rovesciarono, ed il contenuto sarebbe andato a mischiarsi con i ceci usciti dai sacchi, ed i tutto si inzuppò di acqua salata.
Venendo a mancare le scorte di cibo si cercò di ricuperare il possibile, mettendo la miscela in scodelle di metallo, messe ad asciugare al sole.

Le testimonianze scritte.

La più antica testimonianza scritta risale al 1447: un decreto vietò l’utilizzo di olio scadente per la preparazione della “scripilita” (dal latino)
Riguardo all’origine della farinata bianca nota come Törta o Turtelassu de Sann-a circola la leggenda, mai documentata, che un decreto genovese avesse imposto una pesante tassa sui ceci.
Altra versione, anche questa mai documentata, sarebbe quella per cui, un blocco navale Inglese avrebbe impedito l’approvvigionamento della farina di ceci.

La sparizione dei Cassari.

Venditrice di farinata.

Venditrice di farinata

Il quartiere dei Cassari, uno degli ultimi angoli della Savona medievale, era compreso tra via Pia e la piazza dell’Ospedale e tra via Pietro Giuria e via Garassino, a fianco del Duomo.
Il nome deriva dalla presenza di falegnami (cassari).
Nell’ultimo scorcio degli anni ’30 l’Amministrazione Comunale ne decretò la demolizione, per costruire un palazzo del governo, mai realizzato.
Con i Cassari sparirono le case di Leon Pancaldo, quella del padre di Cristoforo Colombo, il palazzo dei marchesi Assereto, il pozzo dei Terrino, la Ciassa da Permetta (in fondo a vico Crema), il palazzo di Piazza Cavallotti (di fronte al nautico), il palazzo dello scultore Antonio Brilla.
Beppin da Cà scrisse un bellissimo articolo “Addio, vecchi Cassari”.
Con i Casari sparirono le vecchie sciamadde, dove si poteva gustare la migliore törta della città.
Tra le gestrici delle trattorie di via dei Cassari, dove sicucinava u tutelassu, Cava ricordava la Mascetta, la Pastellica, la Pellegra e la Manin a Duxe, e vi era poi la Morin-na, un personaggio moltio tipico che andava in giro con il testo della farinata appoggiato al fianco, e una tasca piena di fogli di vite, per avvolgere i testi di törta, gridando “Ghe lho bunn-a de gran! Ghe l’ho cäda ch’a brûxa!” e allora qualcuno, scherzando, le diceva: Andemmo Morinn-a! Che che l’aggiae ceppa, se pêu credde … Ma cäda ch’a bûgge!”

Ai locali tipici dove si poteva gustare la farinata, Cava dedicò un articolo “Un sabato sera dal tortaio”, Cava scrisse anche una bella poesia sulla farinata.

Cosa serve per la farinata.

La legna la scaricavano sul sagrato della chiesa di Sant’Andrea, e doveva essere faggio o rovere o nocciolo perché non scoppietti, le fascine devono essere secche.
Il vino arriva in damigiane, scaricato davanti all’ingresso in via Pia.
Nella sciamadda c’è il forno che deve arrivare a 400°.
I testi devono essere di rame stagnato, e li costruiva e riparava Faccio, in valletta San Lorenzo.

La ricetta della farinata la decide il notaio.

Nel negozio “Vino e Farinata” di via Pia, nasce, il 16 febbraio 2007, di fronte al notaio Domenico Rossi di Cairo Montenotte, artefice Giuseppe Robatto, la ricetta della farinata in cui  si è voluto sancire ufficialmente come a “fainä gianca” esista solo ed esclusivamente a Savona, indicando la ricetta, e certificando i modi, metodi, costumi e storia.
Dieci pagine in carta da bollo.

I Parodi, una stirpe di tortai.

La storia della farinata a Savona è indissolubilmente legata alla famiglia Parodi.
Tutto iniziò a fine ottocento, quando nel 1870 nacque Lorenzo Gio Batta, detto Baciccia.
Rimasto orfano fu allevato dalla famiglia della madre, Geronima Rosso, detta La Pellegra che aveva un negozio di farinata nei Cassari.
Secondo i ricordi della famiglia Parodi, sarebbe stato il nonno Baciccia l’inventore della farinata di grano, e l’idea sarebbe venuta ascoltando i discorsi delle balie, che si lamentavano, perché, mangiando la farinata di ceci, non riuscivano più a “produrre” ed avevano anche problemi di qualità del latte.
Baciccia, allora, avrebbe sostituito la farina di ceci con quella di grano.
I fratelli di Baciccia erano Emanuele (farinata del Punte du Sbaru) e Paolo (farinata di via Montenotte, tra via L.Corsi e C.so Mazzini). I figli di Baciccia furono Francesco, Giuseppe, che sposò la Rita (farinata di via Montesisto), e Maria che sposò Aldo (farinata di via Montenotte, vicino a P.za Mameli). Baciccia muore nel 1944, e Francesco prosegue l’attività in via Pia, fino al 1962, anno in cui muore lasciando due figli: Giulietta e Gio Batta (Gianpaolo) che muore l’11 novembre del 2008. Nella foto sottostante Gianpaolo con la moglie Carla Aonzo.

Carla e Gian Parodi

Carla e Gian Parodi

Gianpaolo Parodi fu nominato da Luigi Veronelli quando, nel 1979 lasciò la sciamadda “Vino e Farinata” e scrisse “Abdica il re della farinata”.
Il negozio fu preso in gestione da Giorgio del Grande.

Glossario.

–       La farinata si chiama törta o fainâ
–       Il termine turtellassu , secondo alcuni è riferito alla farinata di grano, secondo altri alla farinata cucinata in testi piccoli (15,20 o 25 cm.)
–       A Fainâ si taglia a pèsi, non a tocchi
–       I pèsi si contavano e non si pesavano.
–       Chi fa la farinata si chiama turtà e non fainottu
–       Fainottu e colui che vende la farina.
–       La farina era raccolta con la sassua e versata nei buglioli, dove veniva mescolata con l’acqua ed il sale.
–       Le teglie si chiamano testi e variano di diametro dai 15 ai 20, ai 25, fino 60 centimetri a Savona, mentre a Genova si arrivava a 80.
–       “Me raccumandu, daghe 200 culpi!” diceva sempre Baciccia.

RICETTE:

Farinata di grano:
Per 6 persone
300 g farina di grano
1 litro di acqua
½ bicchiere di olio evo
Sale, pepe nero macinato al momento.

In genere si dovrebbe usare solo farina di grano, ma i più esperti consigliano un mix del 90% di grano e il 10% di farina di ceci. L’importante è che sia solo farina di grano tenero. L’insieme deve essere stemperato con acqua tiepida in una terrina (una parte di farina tre d’acqua), quindi aggiungere il sale non molto ma deve essere già diluito. Mescolare energicamente per sciogliere eventuali grumi. (“Me raccumandu, daghe 200 culpi!”).  Lasciare riposare la miscela per qualche ora, mescolando di tanto in tanto per evitare la decantazione della farina. Per la Farinata di grano come per quelle di ceci l’importante è la preparazione della teglia (il testo) Mettere in un forno ben caldo e non levare sino a che la Farinata non risulta ben dorata.

Farinata di ceci:
Per 4 persone:
250 g di farina di ceci
Sale,1/2 bicchiere di olio evo
Pepe
Acqua

Lasciare in acqua (3/4 di litro) per almeno quattro ore la farina di ceci unita a sale quanto basta, rimescolare bene. Nel frattempo preparare il “testo” ungendone il fondo con una buona dose di olio e versare il composto passandolo al setaccio. Rimestare sino a che non si sarà ben amalgamato con l’olio. Secondo la tradizione i colpi per rimestarlo dovevano essere almeno 200. Mettere in forno ben caldo e non levare sino a quando la farinata non è dorata. Poi servire. Il pepe è (quasi) d’obbligo.

RF

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