L’autore è il monaco-gourmet cremonese, bibliotecario vaticano, Bartolomeo Sacchi, detto il Platina, che ha tradotto in latino aulico un precedente manoscritto di ricette, il “De Arte Coquinaria”, di un grande cuoco, il Maestro Martino da Como. Il libro si intitola “De honesta voluptate et valetudine” ovvero “L’onesto piacere e la buona salute”. Leggiamone il capitolo 46:
“la cena ed il pranzo senza bevande non soltanto sono ritenuti poco gradevoli, ma anche poco salutari, poichè il bere per chi ha sete è più gradito di un cibo per chi ha fame. Conviene quindi bagnare il cibo con il vino, sia per rinfrescarsi i polmoni, sia per meglio stemperare e digerire quello che abbiamo mangiato”.

Facciamo un salto nel tempo di 500 anni, nella seconda metà dello straordinario quattrocento. Nel 1472 fu dato alle stampe il primo libro al mondo di gastronomia e dietetica. Si tratta di un vero e proprio avvenimento storico, non soltanto riguardante il cibo, ed avviene sotto un Della Rovere, il savonese di Celle Sisto IV, due anni dopo la sua elezione al soglio pontificio.
Il libro di Bartolomeo Sacchi, edito anche in tedesco, francese e inglese, diventò un vero e proprio best-seller per tutto il 400 e sino alla metà del 500. Vi troviamo varie ricette: le torte verdi in sfoglia, “la cucina di vitella ripiena”, la carne in gelatina, fricassee di pollo, bugie, chiamate ironicamente “frittelle piene di vento”. Ma questa è la cucina delle classi abbienti. Le famiglie popolane di Savona e dintorni consumavano cibi assai più modesti: focacce, minestroni, farinate di ceci, “zemin”, panisse, frittelle varie, trippe, ecc. Sul mercato non mancavano certo carni bovine, d’agnello o di capretto castrato, selvaggina, pollame e uova. E non mancavano i vari tipi di pesce che, più tardi, Gabriello Chiabrera, famoso poeta savonese, non mancherà di decantare:

Utensili del 400
“dal dentale ovvero dal dentice al polpo, alle triglie, di nostre mense onore”
Ma, ritornando al cibo povero, di chi non si poteva permettere questi lussi, occorre dire che è proprio da questa parsimonia di intere generazioni di donne che nascerà la tipica cucina ligure, contraddistinta dal sapiente dosaggio degli ingredienti, a cominciare dagli aromi, che offrono odore e sapore: prezzemolo, rosmarino, basilico, salvia, maggiorana, timo ed altri che sostituiranno pepe, zenzero, cannella, zafferano, noce moscata, chiodi di garofano. In quel tardo medioevo comunque si chiude un’epoca, anche a tavola. Dalla cucina dello spiedo di carni e selvaggina, propria delle classi abbienti, si passerà gradualmente a quella degli umidi, dei tegami,delle cotture più accurate, in cui le dame liguri, anche con loro torte ed i loro ripieni, portati magari al forno pubblico, si dimostreranno maestre.