Polpo rosticciato con verdure e pomodorini confit

 

Porzioni 4 persone

Ingredienti
  

  • 1 polpo da 1,2 kg già pulito
  • 2 melanzane medie
  • 2 zucchine
  • 1 cestino pomodorini cigliegini
  • 1 mazzo timo
  • 25 g zucchero
  • QB alloro, succo limone, aceto balsamico, olio evo, origano, aglio, sale, pepe nero

Istruzioni
 

  • Portate a bollore abbondante acqua in una pentola con la foglia di alloro; afferrate il polpo per la testa e immergetelo 3 volte nell'acqua, in modo che i tentacoli si arriccino. Calatelo per l'ultima volta e cuocetelo per circa un’ ora; poi lasciatelo raffreddare.
  • Tagliate le melanzane e le zucchine a fette, in senso verticale, disponetele su una teglia rivestita con un foglio di alluminio. Salate e pepate, spennellatele d'olio e cuocetele in forno a 180° per 20-25 minuti.
    Lavate i pomodorini tagliateli a metà  ,rivestite una carta da forno adagiateli con la parte del taglio  verso l’alto ,poi conditeli con lo zucchero il sale l ‘origano qualche spicchio d’aglio e il pepe nero.
    Cuocere in forno statico preriscaldato a 140 °per 2 ore,quando son abbastanza appassiti,sono pronti
  • Versate in un barattolo di vetro 2 cucchiai di aceto balsamico, I di succo di limone e 3-4 di olio, le foglie di 1 rametto di timo, sale e pepe Chiudete con il coperchio e agitate per ottenere una salsina ben emulsionata.
  • Sgocciolate il polpo, separate testa e tentacoli e rosticciateli in padella ben calda per circa 10-15 minuti, spennellandoli con olio durante la cottura. a metà cottura aggiungere uno-due cucchiai di salsina emulsionata e fate caramellare.
     Distribuite le fette di melanzana e di zucchine  arrostite qualche pomodorino confit  nei piatti, aggiungete il polpo rosticciato ,condite con la salsa preparata e guarnite con rametti di timo.
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Ricordi Pasquali – Tuorlo fritto su carciofo

 

Porzioni 1

Ingredienti
  

  • 1 uovo
  • 1 carciofo
  • 1 scalogna o porro
  • qb parmigiano reggiano, pangrattato, prezzemolo limone, sale, pepe, olio evo

Istruzioni
 

  • Pulite i carciofi, togliendo le foglie esterne. Ricavate il cuore dei carciofi, togliete la barbetta interna, affettateli molto finemente e metteteli in acqua acidulata con succo di limone per non farli annerire.
  • In un tegame, mettete olio evo, scalogno o porro affettato finemente. Scolate i carciofi, sciacquateli, asciugateli e versateli in padella. Aggiustate di sale e pepe e portate a cottura.
    Intanto, separate il tuorlo dall’albume. Il bianco lo utilizzerete per altre ricette. 
  • Adagiate delicatamente il tuorlo su un contenitore rivestito con carta forno. Mettete in congelatore per 5 minuti, preparate il pangrattato con del prezzemolo tritato. Quando l’uovo è leggermente rassodato, prendetelo e passatelo nel pangrattato.
  • Scaldate un tegame con l’olio e friggetelo brevemente, girandolo una sola volta. Il tuorlo deve restare liquido.
  • Impiattate, mettendo alla base del piatto i carciofi, adagiate sopra il tuorlo fritto e insaporitelo con un pizzico di sale e pepe. Ricoprite con scaglie di parmigiano reggiano e servite.
     
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A fugassa

A FUGASSA

Il nome “fugassa” significa “sale sul fuoco”: vediamo perché.

La fugassa viene citata in documenti ufficiali intorno all’anno 1000, ed era chiamata “A pestun’a de pasta de pan cu a sa” cioè impasto pestato con il sale: “a sa pesta”.

Il Doge di Genova Giovanni di Murta, eletto il giorno di Natale del 1345, disse di non volere alcun stipendio, ma voleva che gli fossero preparate due focacce, una pestun’a de pasta de pan cu a sa e, seguendo il suo

Ricettame de dichiarassiun:
Pestun’a a pasta de pan
cua zunta de furmaggiu de caggia a tucchetti
baxaico, sa e pevie e oiu bun;
a votte, anche un pesciu so cun unna frettà de cornabuggia”
A pestun’a cu a sa era sicuramente un cibo diffusissimo, tanto è vero che veniva distribuito in chiesa, agli invitati, durante i matrimoni, fino a che, alla fine del ‘500, l’arcivescovo Matteo Rivarola,, originario di Chiavari, ne proibì la distribuzione, pena la scomunica, perché lo scrocchiare della focaccia distraeva i fedeli dalla funzione. A pestun’a cu a sa veniva cotta nele “sciammade” e con l’andare del tempo prese il nome di “sale sul fuoco”, ovvero “fugassa”

LA CASTAGNA IL LIGURIA

LA CASTAGNA CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALLA LIGURIA.

La castagna è stata, per molti anni, il pane dei poveri.

Ma che cosa è la castagna?

Anzitutto la castagna è un frutto ed era già una importante risorsa al tempo dei greci e dei romani.

Le origini della pianta risalgono addirittura al periodo Terziario (10 milioni di anni fa), durante il quale era già diffusa in Asia, Europa e continente americano. Sull’utilizzo del frutto, in realtà, le prime notizie risalgono all’Antica Grecia, con gli scritti di Ippocrate e di Teofrasto, che parlano di “noci piatte” e “ghianda di Giove”.

Si narra che Michelangelo dipingesse la Cappella Sistina con le tasche piene di castagne del suo paese, infatti Caprese Michelangelo (AR) vanta la coltivazione del Marrone di Caprese (DOP).

IL VALORE NUTRIZIONALE DELLA CASTAGNA

Il valore nutrizionale della castagna è paragonabile a quello del pane integrale. inoltre le castagne associano anche sali minerali quali il potassio e il fosforo e contengono vitamine.

Ricche in fibre e minerali utili, in caso di anemia o stanchezza psicofisica, grazie al loro elevato apporto calorico (circa 287 calorie in 100 grammi), e ancora in gravidanza, in virtù del loro apporto di acido folico che previene malformazioni fetali.

La ricchezza in carboidrati complessi le rende simili per valore nutritivo ai cereali: sono una valida alternativa in caso di intolleranza e coprono completamente la parte glucidica del pasto.

Le castagne riducono il colesterolo, riequilibrano la flora batterica. Tra le vitamine contenute nelle castagne troviamo: vitamina A, B1 (tiamina), B2 (riboflavina), B3 (niacina), B5, B6, B9 (acido folico) B12, C e D. Tra gli aminoacidi presenti nelle castagne citiamo l’acido aspartico, l’acido glutammico, arginina, serina e treonina.

Le castagne contengono potassio (antisettico, rinforza muscoli e ghiandole), fosforo (calcificante, collabora alla formazione della cellula nervosa), zolfo (antisettico, disinfettante, contribuisce all’ossificazione), sodio (utile alla digestione e all’assimilazione), magnesio (coadiuva alla formazione dello scheletro e agisce come rigeneratore dei nervi), calcio (ossa, sangue, nervi), cloro (ossa, denti e tendini).

CASTAGNE E MARRONI: CHE DIFFERENZA C’È?

Marroni

Marroni

Non sono la stessa cosa: esiste perfino un Regio Decreto del 1939 che ne sancisce le diversità e, per la prima volta, si definisce che la castagna è il frutto della pianta spontanea, il marrone quello della pianta coltivata, eventualmente migliorata con innesti.

La castagna è il frutto della pianta selvatica detta anche “albero del pane”: Il castagno europeo (Castanea sativa), in Italia più comunemente chiamato castagno, è un albero appartenente alla Famiglia delle Facgaceae.

Quando si decise di passare alla coltivazione scientifica, nacquero i cultivar di diverse qualità.

Se in un riccio di castagna si possono trovare fino a SETTE frutti, all’interno di un riccio di marroni se ne trovano un massimo di TRE.

Un’altra grande differenza riguarda la pellicola che separa il frutto dalla buccia.

Quante volte è capitato, pelando una castagna, cotta o arrostita, di impazzire perché il rivestimento marroncino si infilava nelle mille cavità all’interno della polpa? Ecco, tutto questo non succede con i marroni perché non sono settati, la superficie è più liscia e omogenea e quindi la pellicola che la avvolge è molto più facile da rimuovere.

Le castagne sono più piccole e schiacciate, meno saporite dei marroni.

IL PARASSITA DEL CASTAGNO

Vespa cinese del casatgno

Vespa cinese del castagno

Nella valle su cui guarda il castello di Carpineti, dove 923 anni fa Matilde di Canossa, su consiglio dell’eremita Giovanni da Marola, decise di continuare la guerra contro l’imperatore tedesco Enrico IV, vincendo contro ogni pronostico, si è iniziato a combattere un’altra battaglia fra i castagneti piantati dalla contessa di ferro: quella in difesa degli alberi di quel bosco, attaccati da un parassita per loro particolarmente dannoso: la vespa cinese o cinipide del castagno o cinipide galligeno del castagno  (Dryocosmus kuriphilus Yasumatsu, 1951) è un insetto dell’ordine degli imenotteri fitofago, viene considerato l’insetto più nocivo a livello mondiale a causa del veloce deperimento delle piante che attacca.

La guerra è biologica e l’arma è il torymus sinensis, a sua volta un parassita, ma della vespa.

La guerra biologica è partita da Castione (TN) ed è arrivata fino in fondo allo stivale.

LA CASTAGNA IN LIGURIA.

In Liguria abbiamo tre diverse qualità di castagna:

  • La Castagna Brodasca
  • La castagna Gabbiana
  • La castagna secca

LA CASTAGNA BRODASCA

La castagna Brodasca

La castagna Brodasca

PAT – Prodotto agroalimentare tradizionale ligure riconosciuto dal ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, su proposta della Regione Liguria.

Zona di produzione: Levanto e Val di Vara

Il legame del castagno con le popolazioni dell’entroterra è stato negli anni passati molto forte, tanto da identificarlo come “l’arbu”, l’albero per eccellenza.

Ideali per la trasformazione in farina, le castagne sono essiccate nei caratteristici seccherecci, vere e proprie case-forno nelle quali le castagne sono poste su grate in legno e seccate lentamente con fuoco basso per circa 40 giorni.

Una volta raggiunta la giusta umidità, vengono pulite e macinate per ottenere la fragrante farina, ottima per la preparazione di frittelle.

LA CASTAGNA GABBIANA

La castagna Gabbiana

La castagna Gabbiana

Zona di produzione: Val Bormida e entroterra savonese ed imperiese.

Nel passato venivano esportate in Francia e Spagna.

Attualmente presentano un mercato regionale e interregionale, commercializzandole come castagne secche e come farina di castagne

L’albero si presenta di medio vigore e di buona produttività. Il frutto, di forma ellittica, è di pezzatura medio-piccola. La buccia, pericarpo, è di colore marrone intenso, molto sottile, mentre la polpa, di colore bianco grigiastro molto pronunciato, è morbida, butirrosa e fine.

LA CASTAGNA SECCA

La castagna secca di Calizzano-Murialdo

La castagna secca di Calizzano-Murialdo

Zona di produzione: tutta la Liguria, in particolare Calizzano e Murialdo.

Effettuata la raccolta, a mano o meccanizzata, le castagne sono poste in essiccatoi tradizionali, costruzioni in pietra (tecci) con un solaio in travi di legno e listelli. Sul pavimento viene acceso un fuoco con legna solitamente di castagno: la fiamma deve rimanere bassa e allo scopo si utilizza la pula, ovvero la buccia delle castagne secche dell’anno precedente.

Il tempo impiegato per la completa essiccazione è di circa 20/30 giorni: quindi le castagne vengono girate facendo in modo che quelle ancora non completamente essiccate siano posizionate nello strato inferiore e quest’operazione, l’essiccazione prosegue per altri 8/9 giorni.

PIATTI DELLA TRADIZIONE LIGURE.

I CANESTRELLI DI CASTAGNA

I canestrelli di castagna

I canestrelli di castagna

Zona di produzione: Montoggio, valle Scrivia.

Nasce come dolce povero, economico, per risparmiare farina di frumento. Si utilizzava il miele come dolcificante e una particolare fragranza era data dal burro usato con parsimonia, ma di eccellente qualità, prodotto dalle vacche allevate in valle e tenute al pascolo.

MINESTRONE DI CASTAGNE E FAGIOLI

MINESTRONE DI CASTAGNE E FAGIOLI

MINESTRONE DI CASTAGNE E FAGIOLI

400 g di castagne secche, 200 g di pasta fresca avvantaggiata, 200 g di borlotti, 1 cipolla, un mazzo di bietole, 4 carote, prezzemolo, olio, sale.

TROFIETTE DI FARINA DI CASTAGNE CON PESTO E FAVE

TROFIETTE DI FARINA DI CASTAGNE CON PESTO E FAVE

TROFIETTE DI FARINA DI CASTAGNE CON PESTO E FAVE

250 grammi di farina bianca, 150 grammi di farina di castagne, 150 grammi di fave secche (da ammollare per 60’+12 h), 8 cucchiai di pesto, un cucchiaio di parmigiano grattugiato, due cucchiai di pecorino sardo, sale.

ARROSTO CON LE CASTAGNE BRODASCHE

ARROSTO CON LE CASTAGNE BRODASCHE

ARROSTO CON LE CASTAGNE BRODASCHE

1200 g carne di vitello per arrosto, prezzemolo, una cipolla, uno spicchio d’aglio, rosmarino, un bicchiere vino bianco secco, 25 castagne brodasche secche, olio, burro, sale, pepe.

BUDINO DI CASTAGNE

BUDINO DI CASTAGNE

BUDINO DI CASTAGNE

400 g di castagne, 100 g di zucchero, 3 uova, 60 ml di latte, 70 g di burro, 1 limone non trattato, pan grattato q.b

CASTAGNACCIO LIGURE

CASTAGNACCIO LIGURE

CASTAGNACCIO LIGURE

300 grammi di farina di castagne, 50 grammi di pinoli, 100 grammi di uvetta, semi di finocchio, olio e sale.

IL MARRON GLACÉ

IL MARRON GLACÉ

IL MARRON GLACÉ

Una lavorazione artigianale del marrone a cavallo tra Liguria e Piemonte.

Le origini pare che siano del ‘500 nel Cuneese, ad opera del cuoco del Duca di Savoia, Carlo Emanuele I° (1562-1630).

La ricetta compare nel trattato Confetturiere Piemontese, stampato a Torino nel 1790.

Altri dicono sia nato, sempre nel ‘500, a Lione.

La preparazione del marron glacé dura svariati giorni. I frutti, già selezionati in base al diametro, vengono inizialmente immersi in acqua per nove giorni (novena) al fine di completare la maturazione e di facilitare la successiva pelatura. Questa avviene praticando una piccola incisione sulla buccia e sottoponendo il frutto a un getto di vapore.

Il marrone viene quindi cotto in acqua, e l’acqua di cottura (insieme a saccarosio e vaniglia) farà da base per la successiva canditura con sciroppo di zucchero scaldato progressivamente fino a raggiungere i 70 °C

La canditura deve durare una settimana circa. Quando il marrone è candito (ovvero saturo di zucchero), esso viene posto a scolare per almeno 24 ore su griglie.

La fase finale, la glassatura, prevede di stendere la glassa (preparata con zucchero a velo e acqua e lasciata riposare per 24 ore) sul marrone candito, di trasferire il dolce in forno per breve tempo al fine di far cristallizzare la glassa e darle il tipico aspetto traslucido.

IL CASTAGNO DEI CENTO CAVALLI

IL CASTGNO DEI CENTO CAVALLI

IL CASTGNO DEI CENTO CAVALLI

Il castagno più vecchio si trova a Linugaglossa, sulle pendici del monte Etna, in Sicilia, ad appena 8 Km dal cratere del vulcano. La sua circonferenza nel 1780 era 57,9 metri. Pare che abbia circa 4000 anni.

CURIOSITÀ

Se la castagna (vegetta) vi fa gonfiare la pancia, cuocetela con il finocchio selvatico, che ha poteri carminativi.

Perché un castagno cominci a fruttificare ci vogliono almeno 15 anni, ma prima che le sue castagne siano davvero buone possono passarne anche più di 50.

Per conservare le castagne, bisogna tenerle a mollo in acqua per 9 giorni, eliminare quelle che vengono a galla nei primi due, poi cambiando l’acqua per metà ogni giorno e totalmente dal quinto all’ottavo. In questo modo le castagne fermenteranno e potranno conservarsi più a lungo in appositi barattoli, dopo essere state scolate e asciugate.

Le bucce possono essere impiegate in un decotto per ridare lucentezza ai capelli, semplicemente risciacquandoli con l’acqua di cottura.

Inoltre, a un livello più laboratoriale, gusci e ricci sono stati impiegati per produrre una crema cosmetica per la pelle.

PROVERBI

  • La donna è come la castagna: bella de fora e drento la magagna (Roma).
  • Per San Martino castagne e buon vino
  • Quando il vin non è più mosto, il marrone è buono arrosto.
  • Quando piove di giugno la castagna si secca senza fummo
  • Se piove al solleone castagne tutte guscione
  • Nel tempo delle castagne il porco ride e la pecora piange

MODI DI DIRE

  • Nel mondo del calcio tirare una castagna significa avere un tiro molto potente.
  • Togliere le castagne dal fuoco.
  • Prendere in castagna.
  • Chiudersi a riccio.

RF

Come si serve in tavola

A volte si fa confusione, alcuni dicono che si deve servire in tavola da destra, altri sono disposti a giurare che si serve da sinistra, ma tutta questa confusione è spesso generata dal fatto che non esiste un solo modo di servire in tavola, ma ci sono diversi stili di servizio, e vediamo di descrivere brevemente i principali.

SERVIZIO ALL’ITALIANA

Tra gli stili di servizio, il più semplice è quello all’italiana: il piatto, già confezionato in cucina, viene servito dal lato destro del commensal

SERVIZIO ALL’INGLESE

Nel servizio all’inglese i piatti, puliti, vengono messi in tavola dal lato destro del commensale, quindi si prende il vassoio e si servono le vivande dal lato sinistro del commensale.

SERVIZIO ALLA FRANCESE

Nel servizio alla francese i piatti, puliti, vengono portati in tavola dal lato destro del commensale, quindi si prende il vassoio, ci si porta alla sinistra del commensale ed il commensale si serve da solo.

SERVIZIO ALLA FRANCESE INDIRETTO

Nel servizio alla francese indiretto, I piatti, puliti, vengono messi in tavola dal lato destro del commensale quindi le vivande si appoggiano direttamente sul tavolo ed i clienti si servono da soli.

SERVIZIO ALLA RUSSA

Il servizio alla russa, o al gueridon, viene realizzato dallo chef de rang assieme al commis, il quale portando le vivande dalla cucina alla sala, le predispone sul gueridon, a questo punto lo chef incomincia a porzionare le vivande, ed il commis le servirà dal lato destro del commensale.

LO SBARAZZO

Al di là del tipo di servizio che abbiamo scelto, lo sbarazzo si verifica sempre nello stesso modo: cioè ci si porta alla sinistra del commensale e si prelevano i piatti sporchi con le posate utilizzate.

RF

LA FARINATA A SAVONA.

LA FARINATA A SAVONA

La farinata bianca, quella di grano, è una preparazione solamente savonese, ma la farinata di ceci non è un piatto solo ligure, infatti si chiama:
–       A Massa calda calda
–       A Pisa-Livorno cecina
–       In Piemonte bela caöda
–       A Nizza socca
–       A Marsiglia-Tolone tout-caud/caude
–       In Sardegna faine
–       A C arloforte fainö
–       A Gibilterra e Nord Marrocco calentita

Ma quali sono le origini?

La versione maggiormente riportata delle origini della farinata è quella che la colloca in occasione della battaglia della Meloria, agosto 1284, che vide la vittoria di Genova su Pisa.
Si narra che una tempesta colpì le navi genovesi, i recipienti d’olio nelle stive si rovesciarono, ed il contenuto sarebbe andato a mischiarsi con i ceci usciti dai sacchi, ed i tutto si inzuppò di acqua salata.
Venendo a mancare le scorte di cibo si cercò di ricuperare il possibile, mettendo la miscela in scodelle di metallo, messe ad asciugare al sole.

Le testimonianze scritte.

La più antica testimonianza scritta risale al 1447: un decreto vietò l’utilizzo di olio scadente per la preparazione della “scripilita” (dal latino)
Riguardo all’origine della farinata bianca nota come Törta o Turtelassu de Sann-a circola la leggenda, mai documentata, che un decreto genovese avesse imposto una pesante tassa sui ceci.
Altra versione, anche questa mai documentata, sarebbe quella per cui, un blocco navale Inglese avrebbe impedito l’approvvigionamento della farina di ceci.

La sparizione dei Cassari.

Venditrice di farinata.

Venditrice di farinata

Il quartiere dei Cassari, uno degli ultimi angoli della Savona medievale, era compreso tra via Pia e la piazza dell’Ospedale e tra via Pietro Giuria e via Garassino, a fianco del Duomo.
Il nome deriva dalla presenza di falegnami (cassari).
Nell’ultimo scorcio degli anni ’30 l’Amministrazione Comunale ne decretò la demolizione, per costruire un palazzo del governo, mai realizzato.
Con i Cassari sparirono le case di Leon Pancaldo, quella del padre di Cristoforo Colombo, il palazzo dei marchesi Assereto, il pozzo dei Terrino, la Ciassa da Permetta (in fondo a vico Crema), il palazzo di Piazza Cavallotti (di fronte al nautico), il palazzo dello scultore Antonio Brilla.
Beppin da Cà scrisse un bellissimo articolo “Addio, vecchi Cassari”.
Con i Casari sparirono le vecchie sciamadde, dove si poteva gustare la migliore törta della città.
Tra le gestrici delle trattorie di via dei Cassari, dove sicucinava u tutelassu, Cava ricordava la Mascetta, la Pastellica, la Pellegra e la Manin a Duxe, e vi era poi la Morin-na, un personaggio moltio tipico che andava in giro con il testo della farinata appoggiato al fianco, e una tasca piena di fogli di vite, per avvolgere i testi di törta, gridando “Ghe lho bunn-a de gran! Ghe l’ho cäda ch’a brûxa!” e allora qualcuno, scherzando, le diceva: Andemmo Morinn-a! Che che l’aggiae ceppa, se pêu credde … Ma cäda ch’a bûgge!”

Ai locali tipici dove si poteva gustare la farinata, Cava dedicò un articolo “Un sabato sera dal tortaio”, Cava scrisse anche una bella poesia sulla farinata.

Cosa serve per la farinata.

La legna la scaricavano sul sagrato della chiesa di Sant’Andrea, e doveva essere faggio o rovere o nocciolo perché non scoppietti, le fascine devono essere secche.
Il vino arriva in damigiane, scaricato davanti all’ingresso in via Pia.
Nella sciamadda c’è il forno che deve arrivare a 400°.
I testi devono essere di rame stagnato, e li costruiva e riparava Faccio, in valletta San Lorenzo.

La ricetta della farinata la decide il notaio.

Nel negozio “Vino e Farinata” di via Pia, nasce, il 16 febbraio 2007, di fronte al notaio Domenico Rossi di Cairo Montenotte, artefice Giuseppe Robatto, la ricetta della farinata in cui  si è voluto sancire ufficialmente come a “fainä gianca” esista solo ed esclusivamente a Savona, indicando la ricetta, e certificando i modi, metodi, costumi e storia.
Dieci pagine in carta da bollo.

I Parodi, una stirpe di tortai.

La storia della farinata a Savona è indissolubilmente legata alla famiglia Parodi.
Tutto iniziò a fine ottocento, quando nel 1870 nacque Lorenzo Gio Batta, detto Baciccia.
Rimasto orfano fu allevato dalla famiglia della madre, Geronima Rosso, detta La Pellegra che aveva un negozio di farinata nei Cassari.
Secondo i ricordi della famiglia Parodi, sarebbe stato il nonno Baciccia l’inventore della farinata di grano, e l’idea sarebbe venuta ascoltando i discorsi delle balie, che si lamentavano, perché, mangiando la farinata di ceci, non riuscivano più a “produrre” ed avevano anche problemi di qualità del latte.
Baciccia, allora, avrebbe sostituito la farina di ceci con quella di grano.
I fratelli di Baciccia erano Emanuele (farinata del Punte du Sbaru) e Paolo (farinata di via Montenotte, tra via L.Corsi e C.so Mazzini). I figli di Baciccia furono Francesco, Giuseppe, che sposò la Rita (farinata di via Montesisto), e Maria che sposò Aldo (farinata di via Montenotte, vicino a P.za Mameli). Baciccia muore nel 1944, e Francesco prosegue l’attività in via Pia, fino al 1962, anno in cui muore lasciando due figli: Giulietta e Gio Batta (Gianpaolo) che muore l’11 novembre del 2008. Nella foto sottostante Gianpaolo con la moglie Carla Aonzo.

Carla e Gian Parodi

Carla e Gian Parodi

Gianpaolo Parodi fu nominato da Luigi Veronelli quando, nel 1979 lasciò la sciamadda “Vino e Farinata” e scrisse “Abdica il re della farinata”.
Il negozio fu preso in gestione da Giorgio del Grande.

Glossario.

–       La farinata si chiama törta o fainâ
–       Il termine turtellassu , secondo alcuni è riferito alla farinata di grano, secondo altri alla farinata cucinata in testi piccoli (15,20 o 25 cm.)
–       A Fainâ si taglia a pèsi, non a tocchi
–       I pèsi si contavano e non si pesavano.
–       Chi fa la farinata si chiama turtà e non fainottu
–       Fainottu e colui che vende la farina.
–       La farina era raccolta con la sassua e versata nei buglioli, dove veniva mescolata con l’acqua ed il sale.
–       Le teglie si chiamano testi e variano di diametro dai 15 ai 20, ai 25, fino 60 centimetri a Savona, mentre a Genova si arrivava a 80.
–       “Me raccumandu, daghe 200 culpi!” diceva sempre Baciccia.

RICETTE:

Farinata di grano:
Per 6 persone
300 g farina di grano
1 litro di acqua
½ bicchiere di olio evo
Sale, pepe nero macinato al momento.

In genere si dovrebbe usare solo farina di grano, ma i più esperti consigliano un mix del 90% di grano e il 10% di farina di ceci. L’importante è che sia solo farina di grano tenero. L’insieme deve essere stemperato con acqua tiepida in una terrina (una parte di farina tre d’acqua), quindi aggiungere il sale non molto ma deve essere già diluito. Mescolare energicamente per sciogliere eventuali grumi. (“Me raccumandu, daghe 200 culpi!”).  Lasciare riposare la miscela per qualche ora, mescolando di tanto in tanto per evitare la decantazione della farina. Per la Farinata di grano come per quelle di ceci l’importante è la preparazione della teglia (il testo) Mettere in un forno ben caldo e non levare sino a che la Farinata non risulta ben dorata.

Farinata di ceci:
Per 4 persone:
250 g di farina di ceci
Sale,1/2 bicchiere di olio evo
Pepe
Acqua

Lasciare in acqua (3/4 di litro) per almeno quattro ore la farina di ceci unita a sale quanto basta, rimescolare bene. Nel frattempo preparare il “testo” ungendone il fondo con una buona dose di olio e versare il composto passandolo al setaccio. Rimestare sino a che non si sarà ben amalgamato con l’olio. Secondo la tradizione i colpi per rimestarlo dovevano essere almeno 200. Mettere in forno ben caldo e non levare sino a quando la farinata non è dorata. Poi servire. Il pepe è (quasi) d’obbligo.

RF

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